La review completa dei concerti a Irvine, CA

Uno nostro lettore, la scorsa settimana si è recato ad Irvine in California per assistere algli show dei Maiden.

Ho chiesto a Diego se, una volta tornato dagli show, sarebbe stato felice di scrivere una piccola review dei concerti. Prontamente il nostro amico ci ha risposto dandoci parere favorevole, ecco quindi la review completa delle date di Irvine!

Un ringraziamento speciale va a Diego Piazza, il quale ci consiglia di dare un’occhiata alla webzine presso la quale lui collabora. Il seguente LINK, che pubblichiamo con piacere, vi porterà alla home Page del sito Rock & Metal In My Blood!

Un fan dei Maiden, nell’immensa spianata del parcheggio del Verizon Wireless Amphitheater di Irvine corre con un folle con un bandiera che riporta le effige del logo “IRON MAIDEN” , si permette di fare qualche “olè” a delle macchine di passaggio tra le risate e gli applausi di una folla improvvisata. E’ quasi mezzanotte e ci rendiamo forse conto solo ora, guardando l’entusiasmo incontenibile dello sbandieratore maideniano, della grandezza di questo meraviglioso sogno “californiano” che ci ha portato da un sonnolenta piccola città come Bergamo alla sterminata metropoli di Los Angeles. Per essere precisi, qui siamo ben oltre alla Città degli Angeli, perche Irvine si trova nell’Orange County a ben oltre 70 km dalla città immortalata da una miriade di registi, poeti e scrittori. La sensazione di aver vissuto una giornata anzi, per meglio dire, due giornate memorabili ci accompagna attraversi odori eterogenei che si mischiano tra loro, dagli improvvisati venditori di hot dog e taco messicani passando per l’inconfondibile “aroma” di marijuana mentre il deflusso delle macchine, per lo più di grossa cilindrata tra pick up e suv provoca un intasamento “tipicamente” italiano. Vengo scambiato per un venditore di magliette ma diventa lo spunto per un’altra splendida conversazione sugli Iron Maiden con due tizi di Huntington Beach (in pratica la capitale del surf californiano) e su quali siano i miei album e le mie canzoni preferite, non senza parlare delle recenti scosse di terremoto (in California) e di quant’altro. Michelle da San Diego, Chantal e Craig da Phoenix, Eddie e Eric dal centro di Los Angeles sono altri personaggi che abbiamo conosciuto tutti uniti dalla passione per gli Iron Maiden, questa meravigliosa malattia che porta alcuni anche ad un collezionismo sfrenato oltre che ad un viaggio durato come nel mio caso un ventina di ore attraverso tre aerei, tre scali e anche passando in mezzo a qualche turbolenza. Ma abbiamo cominciato dalla fine, da quando è già scoccato il giorno 11 agosto, è bene fare un po’ di ordine e tornare a due giorni prima!

 

Giovedì 9 agosto 2012

Il Maiden England Tour USA 2012 sta avendo molto successo in tutte le metropoli americane e canadesi e qui, in California, la Bestia di Eddie si è permessa due (quasi) sold-out all’ex Irvine Meadows, sede di altri trionfi del passato dei Maiden ma da qui sono passate tutte le più grandi band rock del pianeta (Kiss, Judas Priest, Red Hot Chili Peppers, Ozzy Osbourne ma solo per citare quattro nomi). Irvine è un città relativamente giovane, fatta di strade normali a cinque corsie che danno lavoro sicuramente a migliaia di persone visto l’enorme zona industriale, con una marea di ditte di manifatture ospedaliere per il resto non è certo una città turistica, anzi risulta bruttina e asettica con i pochi Hotel a prezzi esorbitanti. Eppure, come già detto su questa collina spelacchiata è stato costruito uno splendido impianto, già attivo da trent’anni che ospita 16.000 posti. Fu qui, che nel 1985 gli Iron Maiden chiusero il loro lunghissimo World Slavery Tour 1984/85. La prima giornata, quella del 9 agosto ci vede protagonisti sugli spalti, al centro dell’ottimo anfiteatro, in teoria posto seduto. Va detto che le procedure di sicurezza si svolgono in maniera molto più snella e rigorosa di quanto avvengono in Italia, in primo luogo per la compostezza dei fan, in secondo luogo per un atteggiamento molto più umano della security dove non emerge nessun inutile protagonismo. Dopo le 18, quando le porte d’ingresso vengono aperte, il popolo multi etnico californiano si sparpaglia tra merchandising e postazioni per mangiare tanto che l’anfiteatro, raggiungibile su un collinetta dopo un camminata di pochi minuti risulta quasi totalmente vuoto. Oltre alle numerosi varianti di magliette con i vari Eddie anni ’80, come sempre è stata preparata una maglia speciale evento della California: in questo caso Eddie cavalca un Orso (simbolo della bandiera della California) che con le sue zampe distrugge il Golden Gate (oltre alle due date di Irvine i Maiden hanno appena suonato nella capitale, Sacramento e a San Francisco). Ai newyorkesi Coheed and Cambria spetta l’ingrato compito, dopo le 19 di precedere la leggenda ma, pur giocando in teoria in casa, la giovane band viene vista da pochi e distratti spettatori, sebbene il suono sia notevole. Persino la cover dei Sabbath, Dio era, “Heaven and Hell” suscita un entusiasmo sopito, nel ricordo dello scomparso Ronnie James Dio, sepolto a pochi chilometri da qui in un cimitero di Hollywood. Cala ben presto anche il sole, in una serata calda ma che non ha nulla a che fare con l’afa che attanaglia l’Italia e qui non esistono quei piccoli ma insopportabili insetti che portano il nome di “zanzare”. Gli spalti sono oramai quasi piene quando, poco prima delle 21 la classica versione dal vivo degli Ufo “Doctor, doctor” accende gli entusiasmi: è oramai globalmente noto ai fan dei Maiden che questo brano precede il vero inizio del concerto. Suggestiva come sempre la scelta del brano orchestrale, molto pomposo e adatto per introdurre le mitiche strofe di Bruce “Seven deadly sins, seven ways to win”  con sui maxi schermo proiettate immagini di statue o simboli sacri, prima di lasciar spazio ad iceberg e scenari da Polo Nord. L’inizio di “Moonchild” è registrato prima che un esplosione irrompa nella notte californiana. I sei Maiden entrano sul palco accompagnati dalle urla entusiaste del pubblico di Irvine, con Bruce che dall’alto del palco, sopra la batteria di Nicko McBrain inizia la sua sequela di previsione liturgiche drastiche, tra citazioni bibliche e aforismi. Naturalmente tutti si sono alzati i piedi, alla pari di quelli in alto nell’erba, il posto meno esoso dal punto di vista economico. Bruce detta il tempo per il coro iniziale di “Can I Play With Madness” singolo di grande successo sempre tratto dal capolavoro Seventh Son of Seventh son del 1988. Oltre all’incontenibile Bruce, con giacca a coda di pinguino , sono sempre mobilissimi sul palco anche Steve Harris con il suo fender precision bass marchiato come sempre dal simbolo del West Ham United e Janick Gers, fender-man anche lui che si scatenerà come sempre sulla destra del palco. Da consumato frontman e giocoliere, Bruce Dickinson utilizza l’asta del microfono come solo lui sa fare e incita il pubblico a rispondere ai suoi gesti in “The Prisoner” (pezzo che i Maiden non eseguivano dal 1991), precedute dalle vecchie immagini del telefilm anni ’70. Si è molto vociferato sulla mancanza dello storico ingegnere del suono Doug Hall, da 30 anni nei Maiden, ma dall’impianto PA di Irvine mi sembra giunga un suono ben bilanciato e anche abbastanza forte. Adrian Smith attacca subito il riff di “2 Minutes To Midnight“, altra classicissima della band d’oltremanica , Steve Harris mitraglia come sempre le prime fila, nella parte centrale e non mancano ovviamente i vari “Scream for me Irvine !!!” da parte di Bruce che, soprattutto nella seconda serata diventeranno spesso degli “Scream for me Southern California !!!”. Arriva il primo atteso “discorso” di Bruce che saluta il pubblico, anche quello più lontano in alto nell’erba e che ricorda il pienone delle due date di Irvine, prima di presentare, come sempre in maniera intelligente e sagace il brano successivo, quella “Afraid To Shoot Strangers” che i Maiden non eseguono dalla fine del 1998. L’inizio lento e ritmico, cadenzato dalle precise martellate di Nicko è poi splendidamente alternato alle tre chitarre che esplodono simultaneamente nel ritornello. Il memorabile intreccio delle chitarre di Smith e Murray, accompagnati da Janick danno il via alla memorabile “The Trooper” con Bruce versione Giubba Rossa che come sempre sventola due Union Jack, una a sinistra e una a destra per la gioia dei fan delle prime file che scattano foto selvaggiamente.   Si passa da un mito ad un altro, ed ecco la leggendaria intro di ” The Number of The Beast” con il Caprone/Diavolo che emerge in alto a destra del palco. E’ dal 2005 che gli Iron Maiden usano questa suggestione da allora sempre presente sul palco, mentre esplodono dopo la prima strofa fuochi e giochi pirotecnici. Dopo essersi goduto qualche secondo di visibilio e fanatismo come feedback dall’anfiteatro di Irvine, Bruce annuncia “Phantom of the Opera“, canzone epica di Steve Harris sempre amata dal pubblico anche perché non sempre presente nelle set-list dal vivo. Nella lunga parte strumentale centrale Bruce si diverte, è proprio il caso di dirlo, a giocare con il fuoco; a suo comando varie fiammate sugli spalti vengono accese e, quando poi invita il pubblico ad esultare con la sua tipica posa a braccia in alto le fiamme si alzano come d’incanto. Uno dei momenti più innovativi e straordinari del concerto, da vedere assolutamente per credere. “Run To The Hills“, che era stata incredibilmente esclusa nel tour precedente ritorna in pompa magna con tutti a cantare e con Eddie, versione generale Custer che irrompe prepotentemente sul palco durante i solo. Stivali enormi e con giubba e cappello blu , “Eddie Custer” trafigge lo spazio con la sua spada, non senza i soliti giochi con Janick Gers, sempre pronto a farsi burla dell’Eddie camminatore sia che sia un alieno sia che sia un soldato delle giacche blu ! Prima apparizione di Eddie e non sarà certo l’ultima e, mentre con passo marziale la mascotte dei Maiden lascia il palco inizia “Wasted Years” : Bruce invita il pubblico a cantare il ritornello suggerendo anche le liriche e scherza sui backing vocals di Adrian Smith e, a sorpresa, Dave lascia momentaneamente la Fender per imbracciare una Gibson Flying V. Quando si spengono le luci inizia uno dei momenti solenni del concerto, l’epica “Seventh Son of a Seventh Son” irrompe con alla spalle del palco l’enorme Eddie Guru, ispirato sempre al tour 1988 e all’artwork di Derek Riggs che compare all’interno del vinile originale dell’album. Bruce indossa uno spolverino nero stile wermarcht e si è messo un po’ di gel sui cappelli mentre da attore consumato canta le strofe. Nella parte lenta centrale i Maiden sul palco vengono avvolti da un cortina fumogena e si ode principalmente il basso di Steve Harris, spettrale e inquietante su una base di tastiere che introducono, in maniera molto teatrale sulla destra del palco Michel Kenney, truccato e con tanto di organo alla Fantasma dell’Opera. Il tecnico del basso di Steve, oramai da un vita nella band aveva esercitato lo stesso ruolo anche nel tour del 1988, e chi ha visto la vhs “Maiden England” se lo ricorderà. Dopo che Bruce ricorda la nascita del settimo figlio con una narrazione suggestiva, abbandona il palco mentre la band in progressione accellera i tempi fino al meraviglioso momento strumentale finale: sui piatti di Nicko riecheggiano le chitarre melodiche dei “tre amigos” prima dello strepitoso duello di asce tra Dave Murray e Adrian Smith, in uno dei loro solo più prestigiosi di tutta la carriera nei Maiden, accompagnati da esplosioni pirotecniche sempre piacevoli da vedere. Non c’è tempo di riprendersi dallo spettacolo che Steve Harris introduce con le sue note di basso “The Clairvoyant“. Dave Murray detta le armoniche iniziali ed è a suo appannaggio, al centro del palco, l’unico solo presente per un personaggio che sembra sempre godersi molto la vita visto il suo tradizionale sorriso sul volto. Momento di esaltazione globale per l’oramai celeberrima “Fear of the Dark” con Bruce di spalle che gioca con le ombre sullo sfondo, prima di chiamare il pubblico a rispondere al suo appello. Come tradizione, dal secondo ritornello in poi Steve invita al saltellamento generale, prima che Bruce prenda in mano ancora la situazione nella parte cantata centrale.   “Iron Maiden” chiude come sempre in maniera spettacolare la prima parte del concerto con Eddie versione Seventh Son che emerge da dietro il palco, con in mano il settimo figlio che scalpita nella placenta ! Attorno le figure raggelate degli Eddie delle copertine precedenti (e qui il riferimento è alla back cover dell’album). Intanto Bruce ringrazia il pubblico con la classica formula di rito “Thank you ! from Iron Maiden, from Eddie e from tha boys” , mentre Janick prima lancia e puoi suona la sua chitarra con le scarpe e Steve mitraglia tutti di note, prima del classico saltino , immancabile, finale. Pochi secondi e la caratteristica voce di Wiston Churchill comincia a sentirsi in mezzo a rombi di motore dall’amplificazione, con sui maxi schermo le immagini tratte dai combat-film della seconda guerra mondiale che i Maiden già utilizzarono per il video promo di “Aces High“. Molti fan sono rimasti sorpresi dalla presenza in scaletta di questa stupenda canzone che apriva Powerslave nel 1984 e soprattutto sorpresi per la sua collocazione nei bis, chiedendosi come Bruce possa tenere la sua voce alta verso la fine del concerto. Ebbene, ancora una volta il frontman di Worksop ha impressionato i presenti, autore di un prestazione vocale eccezionale in tutto il concerto e anche in questo difficile brano! Adrian e Janick all’unisono introducono “The evil than men do” , con Bruce che scherza su chi sia l’autore di questa frase celebre, ricordando poi che si tratta di William Shakspeare.   Il finale del concerto viene lasciato ancora una volta a “Running Free” , brano dalle liriche molto semplici ma significative pensando agli Usa “Just sixteen, a pick up track. Out of money, out of luck” ma poi soprattutto riferito a dove siamo “Spending a night, in a L.A. jail, listen to the siren wail”.  Un inno a correre liberi sul proprio mezzo a tutta velocità nelle immense freeway americane, direi che ci sta proprio qua in California ! Bruce approfitta tra un “I’m running free” e l’altro per presentare la band, lasciando come sempre qualche istante di suspence per Nicko McBrain, poi avviene il solito lancio di polsini, plettri e quant’altro per la felicità del pubblico delle prime file. La prima sera se né andata non senza lasciare ancora una volta senza fiato ed entusiasta il pubblico del sud California.

 

Venerdì 10 agosto 2012

Come tradizione gli Iron Maiden una volta provata una set-list e tutta la produzione che ad essa è collegata (luci, scenografie, drappi ecc..) non cambiano di una virgola anche quando suonano nello stesso posto (due esempi clamorosi, Milano dicembre 2006 e Londra agosto 2011), dunque non mi avventurerò di nuovo nel segnalarvi ogni singola canzone, ma bensì cercherò di raccontarvi cosa significa vedere un concerto degli Iron Maiden in prima fila, dietro le barriere ! Come già visto ad esempio in Germania, anche qui negli USA non c’è quella pressione fisica asfissiante dietro le spalle, ho potuto seguire le gesta dei Maiden tranquillamente, anche scattando ogni tanto qualche foto senza che qualcuno spingesse brutalmente o pogasse.   Vedere negli occhi i propri idoli è impagabile, così come è stato emozionante incrociare gli occhi di Steve Harris che suona il basso e come i fan dei Maiden sanno, scruta il pubblico cantando tutte le canzoni. Janick è come sempre un giocoliere funambolico, suonando la chitarra in tutto i modi possibili e spesso e vicino all’estremità del palco cercando di individuare qualcuno con cui sorridere. Nel finale finge di lanciare anche la chitarra in mezzo al pubblico ma ovviamente sta ben attendo a non mollare la cinghia. Bruce corre a destra e a sinistra come un dannato, non è facile incrociare il suo sguardo ma, sappiamo come in ogni caso sia attento al pubblico delle prime file, vedi il “segaiolo” con cui ha apostrofato un ragazzo a Indianapolis reo di aver testato con il suo telefonino senza seguire il concerto ! Per altro dalla prime file è spettacolare quando Bruce decolla (e si, parlando di lui è il termine giusto !) sugli amplificatori per il classico salto davanti al palco ! Momenti emozionanti sono stati anche i siparietti tra Dave e Janick che spesso quando sono vicini si scambiano buffetti e la parte del serioso sembra sempre quella di Adrian Smith, intento sempre a far si che la sua perfomance sia al 100%. E’ stato bello anche intravedere dietro i tamburi gli artigli di Nicko, vero e proprio polipo dello strumento che, inevitabilmente, deve subire anche qualche scherzetto di Bruce che suona o sposta il piatto di turno. Quando si è in prima fila anche le fiammate sono più spettacolari, perché si sente proprio sulla pelle il calore, come è successo per fare due esempi in “The Number of the Beast” e “Aces High”. Un sogno che è diventato meravigliosa realtà e da cui non vorresti essere mai svegliato ! Parlando delle prestazione squisitamente tecnica della band, devo dire che anche nel secondo giorno non ci sono state sbavature di sorta: la macchina da guerra dei Maiden dal vivo davvero non conosce fine o limiti, gli anni scorrono (lo stesso Bruce Dickinson ha compiuto il 7 agosto 54 anni, Nicko, il più vecchio ne ha 60) ma le loro perfomance sono sempre credibili, malgrado il caldo torrido (e negli USA non si è scherzato da questo punto di vista) e l’enorme pressione psicologica che hanno sempre sul groppone queste band storiche. In attesa di poterli rivedere nel 2013 in Europa, torno da questa trasferta oltre oceano consapevole che gli Iron Maiden sono ancora un colosso mostruoso dal vivo (del resto non avevo dubbi) e contento di come siano molto presto tornati un istituzione anche in una nazione dove molto facilmente si finisce nel dimenticatoio.

Setlist 9 & 10

1 Moonchild

2 Can I play with madness

3 The Prisoner

4 2 Minutes to Midnight

5 Afraid to shoot strangers

6 The Trooper

7 The Number of the Beast

8 Phantom of the Opera

9 Run to the Hills

10 Wasted Years

11 Seventh Son of a Seventh Son

12 The Clairvoyant

13 Fear of the Dark

14 Iron Maiden

15 Churchill’s Speech (intro)

16 Aces High

17 The Evil that Men Do

18 Running Free

Rinnovando i ringraziamenti a Diego per l’ottimo lavoro svolto, proponiamo alcune delle foto scattate dal nostro amico.

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