Gli Invaders e il Maiden England 1988

Il Maiden England 1988 ha conquistato nel tempo un posto speciale nel cuore e nell’immaginario collettivo degli appassionati della Vergine di Ferro di vecchia data e non.

Le due serate del 27 e 28 novembre 1988 alla N.E.C. Arena di Birmingham non fecero altro che fotografare una band che raggiunse per alcuni versi l’apice artistico e musicale proprio nel corso di quel tour, a coronamento dell’immortale Seventh Son of a Seventh Son. Due concerti per buona parte filmati nell’omonima videocassetta ormai divenuta vero pezzo da collezione, uscita in Italia nel lontano novembre 1989.

Con una delle più belle scenografie di sempre a supporto, la tracklist del Maiden England ’88 ripercorre il cammino della band inglese fino a quel momento. Una band che con coraggio sceglie di affiancare ai brani dell’ultimo disco di allora grandi classici ed alcune perle considerate oggi ancor più di ieri, straordinari brani di nicchia. Per ragioni di spazio accenneremo solo ad alcuni dei pezzi che, opinione personale, caratterizzarono maggiormente quelle due serate.
Una piccola nota introduttiva è però d’obbligo: fra le caratteristiche del 7th Tour of A 7th Tour (questo il nome di quel ciclo di concerti) troviamo l’assenza di materiale tratto da Powerslave, eccezion fatta per 2 Minutes to Midnight suonata saltuariamente durante qualche data. Questo a sottolineare quanto questo disco e il suo successivo tour mondiale (World Slavery Tour ’84-‘85) avessero stressato a tal punto la band di Steve Harris & Soci, da portarla in seguito a preferire brani tratti da album differenti.

Dopo aver armeggiato per qualche minuto con il mio vecchio videoregistratore, inserisco la vhs del M.E., che salvata dalla polvere degli scaffali e riconoscibile dai segni del tempo, si decide a partire. Nella lista delle “top song” di questo concerto non può non esser citata Moonchild. Brano che apre le danze di Seventh Son of a Seventh Son e che in perfetto stile Maideniano venne riproposta anche come apertura per l’omonimo tour. Come in tutte le versioni live delle canzoni relative al periodo ’80/’90, la Moonchild di Birmingham tende ad esser suonata più velocemente rispetto all’originale. Ma ciò che balza agli occhi è il trasporto emotivo che colpisce fin dalle prime note non solo l’audience ma anche i cinque ragazzi inglesi on stage.

Prima di passare ad Infinite Dreams, una nota di merito va alla versione di Still Life, brano del 1983 tratto da Piece of Mind, che i Maiden, nonostante l’evoluzione sonora di Somewhere in Time prima e Seventh Son dopo, decisero di riproporre dal vivo. Immaginiamo di ascoltare la nostra vhs attraverso quei vecchi sistema audio delle tv anni ‘80…be’ anche in quel caso sarebbe possibile notare come l’intro del brano sia stato leggermente riarrangiato per l’occasione: laddove prima suonava in modo scadenzato la chitarra di Adrian Smith, ora, a sostegno dell’assolo iniziale di Murray, troviamo un massiccio tappeto di tastiere. Voto a questa versione: dieci con lode.
Infinite Dreams non è stata mai più riproposta dal vivo, neanche aimè nell’attuale M.E. Uno di quei brani che più di altri è capace di rappresentare cos’erano gli Iron Maiden in quel particolare periodo: il giusto connubio fra tecnica e musicalità, ritornelli epici, accattivanti, in grado di ricreare atmosfere nelle quali l’ascoltatore poteva immedesimarsi. In una frase: la Band perfetta. Infinite Dreams rappresenta tutto questo ed è anche l’icona perfetta di Seventh Son of a Seventh Son, l’album forse più raffinato dei Maiden, all’interno del quale troviamo un mix di brani sofisticati ma anche di grande immediatezza, tutti con un minimo comun denominatore: contribuire a creare la straordinaria atmosfera sognante di quest’album.

Anche se la lista dei brani è di quelle da far venire i brividi per qualità ed esecuzione il tempo a nostra disposizione volge al termine. E’ quindi doveroso ricordare in ultimo Seventh Son of a Seventh Son: “the most challenging song ever”. Definita in questo modo da Adrian Smith nel corso di un’intervista rilasciata ultimamente. Cosa dire? Il pezzo della scaletta più complesso da eseguire in termini tecnici ed artistici, che non ha bisogno di molte presentazioni. Un brano dal sapore progressive, che necessita per via dei molti cambi di tempo, di respirare in alcuni momenti e di correre freneticamente in altri. Memorabili le parti strumentali con ben quattro sezioni solistiche. Le prime due interpretate da Murray, le seconde due lasciate a Smith. Per l’ennesima volta in carriera i due biondi chitarristi di Hackney si sfidano, si inseguono e si cercano per poi ritrovarsi definitivamente nei riff che seguono gli assoli e che concluderanno il pezzo. Mai chiusura di un brano fu più maestosa, con uno straordinario lavoro della Band in toto che riesce a tirar fuori dal proprio bagaglio musicale le ultime gocce di epicità dell’intero show, letteralmente regalate ad un pubblico più che mai rapito ed incantato.

Probabilmente quanto raccontato finora rappresenta solo un accenno ai molti motivi per i quali gli Iron Maiden faranno sbarcare prossimamente lo storico live nelle arene di tutta Europa. Il nuovo Maiden England risulta leggermente modificato nella scaletta ma rimane per lo più immutato nella sua essenza e nel suo valore. I Maiden offriranno la possibilità di respirare ancora la stessa magia di quasi 25 anni fa, per far commuovere i più attempati e veterani fra noi e anche ovviamente per i fan più giovani.
In attesa dunque della calata dei nostri in quel di Milano, confermata e prevista per il prossimo 8 giugno nell’ambito del Sonisphere Festival, gli Invaders ripropongono l’intero live-set originale del Maiden England 1988, sabato 15 dicembre presso lo storico Jailbreak Live Club di Roma.
Il tributo romano non è affatto nuovo a serate di questo tipo. Lo stesso è stato fatto nei passati anni per Live After Death, Live at Donington ‘92, Death on the Road, Somewhere Back in Time. Ma anche per show considerati più di nicchia come lo straordinario Somewhere on Tour ‘87 o suonando interamente album come Iron Maiden o The Number of the Beast. Questa caratteristica è il principale cavallo di battaglia dei sei ragazzi di Roma e dintorni che stavolta si confronteranno con quello che è ritenuto da molti come il Live per eccellenza della band inglese. Che dire dunque? In bocca al lupo e Up the Irons!!!